Le Grazie costituiscono il capolavoro dell’intero movimento neoclassico, nonché una delle opere più celebrate di Antonio Canova, dovuto soprattutto al sentimento di stupore che si prova alla vista di tre figure femminili rese a grandezza naturale e ricavate da un unico blocco di marmo. Il gruppo fu richiesto dall'imperatrice Joséphine de Beauharnais, committente tra i principali mecenati di Canova. La sua storia personale la vide unirsi in prime nozze con Alexandre Beauharnais, ma fu il suo secondo matrimonio con Napoleone a renderla celebre. In realtà, morì nel 1815, quindi fu il figlio Eugène a godere dell’incantevole bellezza dell’opera, che oggi si trova al Museo Hermitage di San Pietroburgo. Mentre Canova era ancora intento alla prima variante, nel dicembre 1814 giunse a Roma John Russel, VI Duca di Bedford. Il modello in gesso lo impressionò così tanto da commissionarne una replica. Ora il capolavoro è diventato patrimonio condiviso del Victoria & Albert Museum di Londra e delle National Galleries of Scotland di Edimburgo. Le due versioni differiscono solamente per la forma della colonnetta. Nel linguaggio del nudo, quello a lui congeniale e prediletto, Canova rappresentò queste tre fanciulle figlie di Zeus e della dea Oceanina Eurìnome. I loro nomi sono Aglaia, incarnazione dello splendore, Eufrosine della gioia e della letizia, e Talia che rappresenta la prosperità. Debitore all'iconografia antica, il motivo delle tre figure femminili nude e abbracciate, spesso associate a Venere, fu ripreso più volte da Canova nelle proprie opere. Esistono infatti diversi disegni e tempere, un monocromo, un dipinto, ma soprattutto un bassorilievo in gesso, indicativi del suo pensiero interpretativo. Andava evidenziandosi, appunto, la volontà innovativa di ritrarre le tre figure diversamente dalle precedenti e classiche rappresentazioni. Questo gruppo traduce in scultura l'idea della 'grazia' intesa non tanto come categoria della bellezza corporea, quanto piuttosto come qualità dello spirito e del sentimento. Le tre sorelle, cinte da un drappo, rispondono perfettamente ai canoni di bellezza ideale ricercati dagli artisti neoclassici. Sono congiunte in una danza leggiadra o in un girotondo e raggiungono un perfetto grado di equilibrio. Si assomigliano molto sia per l’acconciatura che per i lineamenti e sono unite in un tenero abbraccio chiuso, intrecciate, come se fossero un’unica entità. Inoltre seguono uno schema di sguardi intimi, amorosi, reciproci e riservati, escludendo lo spettatore. Vi è sottinteso un gioco sottile di linee flessuose e morbide, di reciproci gesti, lenti e studiati, di parole quasi sussurrate in un'armonica composizione. Sulla sinistra si erge una stele, quasi nascosta dalla figura di sinistra, su cui poggiano tre corone di fiori, che intelligentemente funge da base di appoggio per i tre soggetti. Si assiste a quelle che Quatremère de Quincy chiamava infatti «le modifiche visibili di una qualità astratta» attraverso «l'abbraccio inge¬gnoso e nuovo di tre figure femminili che, da qualsiasi lato le si consideri, girando intorno, mostrano, sotto aspetti sempre diversi, una varietà di posizioni, forme, contorni, idee e affetti ingegnosamente sfumati». Questa scultura esprime al massimo il significato e l'essenza più profondi del pensiero elaborato in seno alla cultura neoclassica, rappresentando in maniera esemplare l'idea del bello calato in una forma perfetta e in sé compiuta.