Gentileschi dipinse questa Annunciazione durante il suo soggiorno a Genova e la inviò a Torino nel 1623. A Roma l’artista aveva avuto modo di intrecciare il percorso creativo di Caravaggio: in questo dipinto ne diede prova con una vistosa citazione dalla Morte della Vergine del pittore lombardo oggi al Louvre, la tenda rossa sontuosamente drappeggiata. Tuttavia la luce è calda, diurna, il dramma è attutito, come quasi sempre nei dipinti di Gentileschi. Il pittore pisano spedì la pala al duca Carlo Emanuele I, accludendo una lettera dove ricordava gli altri servizi resi alla casata, alludendo verosimilmente alla giovanile Madonna in gloria e la Santissima Trinità, destinata in origine ad ornare la chiesa del Monte dei Cappuccini e ora nelle collezioni del Museo Civico d’Arte Antica di Torino; si fa riferimento, in quella corrispondenza, anche a un dipinto raffigurante Lot e le sue figlie, a lungo ricordato negli inventari sabaudi e additato da visitatori e conoscitori come una delle perle della collezione di casa Savoia. In questo gesto di Gentileschi è evidente non solo la consapevolezza della qualità della propria opera, ma anche l’ambizione a mettersi al servizio esclusivo di una corte, ruolo che gli avrebbe garantito una posizione economica e conferme sociali. Anche la scelta del soggetto è da considerarsi accuratamente studiata, dal momento che i Savoia si fregiavano dell’ordine cavalleresco dell’Annunziata. Pur accettando il dono, il duca non colse questa occasione, e la carriera di Gentileschi si proiettò verso il Nord, Parigi prima, e infine Londra.