Suburbio, di Matteo Olivero del 1920, costituisce un pregevole saggio divisionista; una grande tela che inquadra un’anonima figura che transita sullo sfondo della periferia dell’amata Saluzzo, dal 1905 sua patria di adozione. Presentato alla Biennale di Venezia del 1920, Suburbio è largamente apprezzato dal pubblico e dagli artisti stessi nel corso della manifestazione veneziana, viene acquistato in quell’occasione dal collezionista bolognese Cesare Germani, e si afferma come uno dei risultati più maturi e intensi del repertorio di un pittore da sempre dedito al vero, impegnato a ricercare gli effetti di luce naturale tramite la scomposizione di matrice divisionista. La composizione sfrutta soluzioni che ritornano spesso nella pittura di Olivero degli stessi anni in particolare l’espediente del soggetto isolato in primo piano in uno scenario deserto dall’abbagliante chiarore “che vi lascia la retina stanca”. Sulla destra dell’ampia tela una sagoma in vigoroso controluce, accompagnata dalla lunghissima ombra violacea, incede sulla strada vuota costeggiata dalle rotaie che curvano verso i bassi edifici di una stazione; sullo sfondo, fra nuvole di fumo, un solo puntino di rosso puro emerge a riscaldare i gelidi biancori di un cielo invernale.