Il capitello con telamone e due draghi proviene dall’interno della perduta basilica romanica di S. Giovanni in Borgo, la chiesa demolita nel 1811 per poter dare maggiore spazio al monumentale collegio Borromeo. Il manufatto, caratterizzato da una tecnica esecutiva avanzata è considerato unanimemente dalla critica un capolavoro, un pezzo tra i più famosi e di più alto livello qualitativo della plastica pavese dei primi decenni del XII secolo. La tecnica di lavorazione raggiunge un alto livello di maestria, ad esempio nella resa delle zampe dei draghi che affondano nelle masse carnose dei leoni. Lo scultore riesce a creare una composizione geniale e a graduare sapientemente i piani in rapporto con il fondo, rendendo le superfici tornite, lisce e ben levigate. Il motivo degli animali mostruosi tra loro intrecciati, tra i quali si inserisce con sicurezza il telamone, raggiunge in questo capitello la massima fusione ed efficacia plastica dell’insieme. Il capitello di pilastro rettangolare trova al centro una figura virile nuda, coronata, scolpita ad altorilievo, con ventre prominente, ombelico e costole ben delineate, gambe divaricate e braccia aperte ad afferrare il collo dei due poderosi draghi alati, con occhi a globo, le cui lunghe code squamate si intrecciano avvinghiate simmetricamente attorno alle gambe e ai piedi dell’uomo seduto. I due mostri a loro volta si appoggiano ai fianchi di due leoni semi rampanti, dal lungo collo segnato da una criniera solcata da ciuffi desinenti in riccioli e la coda tra le zampe, disposti ai due angoli del capitello. Nell’abaco vi è una greca a traforo con rettangoli sfalsati, eseguita a scalpello, che sembra continuare, in dimensioni minori, sulla corona del personaggio centrale, dando risalto alla testa. Sul lato breve di destra è conservata un’altra figura mostruosa alata, con corpo di serpente percorso da squame a forma di perla.