Il volume, di autore anonimo, si colloca tra gli esempi più interessanti e significativi dell’arte plumaria del periodo cinque-seicentesco: l’album contiene diciotto figure anonime appartenenti per lo più a specie nostrane, raggruppate in sedici tavole. Gli uccelli sono composti da piume incollate ad una sagoma di carta applicata su un fondo di raso di seta di tonalità differenti, tali da far risaltare al meglio i colori della livrea dell’esemplare. Sfortunatamente lo stato di conservazione della maggior parte degli esemplari è assai precario per l’azione antica di tarme e organismi corrodenti che ne hanno rovinato o addirittura asportato in buona parte le piume. La riproduzione degli esemplari è in genere assai fedele sia nella forma e dimensioni del corpo, sia nella disposizione delle piume e nell’atteggiamento caratteristico dell’animale. A differenza di altre composizioni coeve, dove il becco e gli arti sono le parti originali trattate in modo adeguato per poterle applicare sul foglio senza eccessivo spessore, gli uccelli raffigurati in questo volume presentano gli arti, il becco e gli occhi dipinti a tempera. L’attuale sistemazione degli uccelli su di un fondo di raso di seta settecentesco fa ipotizzare che l’album sia stato ricomposto e restaurato dopo il 1766 e nuovamente rilegato riutilizzando probabilmente la vecchia legatura in marocchino rosso cupo con stemma ducale. L’opera era verosimilmente presente nella biblioteca Grande Galleria del duca Carlo Emanuele I sulla base dell’Inventario del 1659.